Quando lo schermo scompare: il futuro (invisibile) della UX

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Quando lo schermo scompare: il futuro (invisibile) della UX

Abbiamo passato anni a disegnare schermi. Pixel perfetti, layout fluidi, CTA colorate e microinterazioni calibrate al millisecondo. Abbiamo costruito un mondo che vive dentro i rettangoli luminosi che teniamo in tasca. E in quei rettangoli abbiamo imparato a lavorare, socializzare, amare, odiare, comprare, sognare. Ma forse — e dico forse — questa realtà sta finendo.

Non interagiamo più, deleghiamo

Gli AI agents non chiedono tap, swipe o like. Non hanno interfacce, né timeline da scrollare. Semplicemente fanno le cose per noi.
Scrivono, organizzano, prenotano, rispondono. Capiscono contesto, tono, intenzione. E in questa transizione silenziosa, l’utente smette di interagire e comincia a delegare.

È un cambio radicale. Non parliamo più di usabilità, ma di fiducia. Non di navigazione, ma di intenzione. Non di “dove clicco”, ma di “cosa voglio ottenere”.La “no-UI”: il design che non si vede, ma si sente
La “no-UI” non è un’utopia futuristica — è già qui. Basti pensare a ChatGPT, agli smartglass di Meta o all’Humane AI Pin: sistemi che dialogano, non mostrano.

La UX si sposta dallo spazio visivo allo spazio cognitivo. Non disegni più pulsanti, disegni relazioni. L’interfaccia non è più un foglio da riempire, ma un ecosistema di risposte, intuizioni e gesti. Il design, in questo contesto, diventa invisibile, ma non assente. È sottile, ambientale, comportamentale. Non lo vedi — lo senti funzionare.

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Il design diventa ambientale

Gli occhiali con AI integrata, come i Ray-Ban Meta o i visori Apple Vision Pro, sono il primo passo verso la dissoluzione dello schermo. Non esiste più una “cornice” che delimita il digitale dal reale: tutto si fonde. La UI non è più un’interfaccia grafica, ma un’estensione sensoriale. E la UX diventa un atto di coreografia invisibile: il modo in cui la tecnologia si comporta nello spazio, come risponde alla tua voce, quanto è presente — o quanto è capace di sparire. In questa nuova dimensione, il designer non progetta più un prodotto, ma un comportamento. Non sceglie colori, ma tempi di risposta. Non decide dove mettere un bottone, ma quando non farlo apparire.

UX ≠ UI (e finalmente lo capiamo davvero)

Abbiamo sempre detto che UX e UI sono cose diverse, ma solo ora questa distinzione diventa reale. La UI — l’interfaccia visiva — è sempre più effimera, quasi estetica. La UX, invece, diventa architettura del comportamento. E mentre le AI si integrano nelle nostre vite, la vera sfida sarà progettare come queste tecnologie percepiscono, reagiscono e imparano. Non più “che aspetto ha” un prodotto, ma “come si comporta” con te.

Il trend “Glass”: l’ultimo respiro dello schermo

E qui arriva la domanda che molti designer si stanno facendo: in che direzione va il nuovo trend “glass” introdotto da Apple? Superfici traslucide, riflessi, profondità simulate. Tutto appare più leggero, più “spaziale”, più tridimensionale. Ma anche — paradossalmente — meno chiaro, meno intuitivo, più distante.
Forse è proprio questo il punto: il “glass design” non è una nuova era, ma il canto del cigno del design visibile. È come se il design grafico stesse cercando di diventare aria, trasparenza, luce — di sparire, letteralmente. E noi, dall’altra parte dello schermo, siamo stanchi. Stanchi di dover interpretare, cliccare, capire l’ennesimo pattern “innovativo”. Stanchi di interfacce che vogliono sembrare magiche, ma ci costringono ancora a fare fatica. Forse il design invisibile è proprio la risposta a questa stanchezza collettiva. Non ci serve più stupirci di come appare un’interfaccia. Vogliamo solo che le cose funzionino, in modo fluido, naturale, umano.

Verso il design che sparisce

Il “glass” è il penultimo capitolo. Il prossimo sarà il design che sparisce del tutto: interazioni vocali, percettive, predittive. Un mondo in cui il digitale non si mostra, ma si manifesta. E qui il ruolo del designer cambia profondamente. Non saremo più decoratori del digitale, ma coreografi dell’esperienza. Non costruiremo schermi, ma relazioni. Non creeremo percorsi, ma contesti.

Conclusione: il design che non si vede, ma si sente.

Siamo entrati in una nuova era.
Non è più il tempo del design da mostrare, ma del design da vivere. Il futuro non sarà pieno di app più belle, ma di esperienze più intelligenti, più empatiche, più invisibili. E forse, proprio adesso che lo schermo inizia a svanire, il design torna finalmente a essere quello che è sempre stato: un atto di cura per le persone, non per le interfacce.

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